‘Imparare la chitarra jazz’ è un progetto personale di studio . Sono un appassionato chitarrista, ho studiato e suonato per tanti anni, soprattutto jazz. L’ho fatto sempre con piacere, dedicando a questa passione molto tempo ed ho ottenuto discreti risultati, senza però raggiungere un livello professionale (non trovo una definizione più precisa).
In questa ultima versione, che ho denominato ‘Take Four’, ho pensato di documentare i miei attuali sforzi, che sono diretti ad una sorta di rifondazione musicale. Un ripensamento delle mie scelte passate di studio, che mi consenta di superare alcuni limiti che sono emersi nelle mie abilità musicali.
La chitarra è uno strumento popolare, facilmente accessibile nelle prime fasi di apprendimento. Come in ogni attività complessa, man mano che le ambizioni aumentano, cresce anche l’impegno richiesto e le difficoltà degli ostacoli da superare.
E’ quindi un’esperienza molto comune sperimentare fasi alterne nel proprio processo di crescita musicale. Indipendentemente dai successi piccoli o grandi che possiamo ottenere, ci sarà sempre un nuovo traguardo da raggiungere: l’ascolto dei maestri , siano quelli vecchi ed insuperabili del passato, o siano i nuovi talenti che continuano ad emergere, ci propone costantemente nuove sfide e nuovi stimoli.
Può capitare di arrivare ad un certo livello, oltre il quale temiamo di non poter più progredire. Prigionieri dei soliti vecchi licks, con un repertorio di di brani limitato, con una conoscenza della teoria musicale e dell’armonia disconnessa dalla pratica e perciò sterile, costretti ad improvvisare utilizzando box e patterns, proviamo una certa frustrazione. Come mai accade questo? Cosa abbiamo trascurato nella nostra formazione musicale?
Le “trappole” della chitarra
Forse siamo vittime della natura complicata della chitarra, che non favorisce la reale comprensione della musica attraverso lo strumento. Al contrario, la chitarra sembra quasi agire a nostro sfavore, in quanto ciascun passaggio musicale può essere eseguito in molteplici modi, a seconda delle combinazioni di corde impiegate. Per questo motivo, la coordinazione orecchio-movimento delle mani risulta meno immediata e più difficile da raggiungere, rispetto ad altri strumenti.
Sulla chitarra è sin troppo facile visualizzare un accordo o un breve frammento melodico. Inizialmente sembra un vantaggio, si impara a vista dove mettere le dita. Ci basta spostare una forma geometrica, che vediamo sulla tastiera, per cambiare tonalità.
Occorre però tenere presente che i nostri sensi funzionano in modo che, spesso, la percezione visiva pone quella uditiva in secondo piano. Ecco perché, per ascoltare meglio, istintivamente si chiudono gli occhi. La visualizzazione ha certamente un ruolo nell’apprendimento della musica, ma non deve prevalere sull’ascolto.
Oltretutto, sulla chitarra un unico elemento musicale può essere visualizzato in molti modi diversi, il che genera confusione. La facilità di trasporre lo stesso elemento musicale, soltanto partendo da un tasto diverso, ci porta a suonare ignorando i nomi delle note e gli intervalli. Non è una buona abitudine.
Cos’è ‘Imparare la chitarra Jazz – Take 4
Il mio progetto di studio si basa su un cambio di approccio, rivolto a superare i miei limiti, tipici di molti chitarristi (non dei migliori, ovviamente, che questi problemi li hanno risolti).
Il primo cambiamento consiste nel rinunciare, per il momento, allo studio tradizionale della tastiera della chitarra, con il metodo per posizioni. Non voglio più memorizzare diteggiature attraverso le 6 corde, in senso verticale! In questo modo la c.d. memoria muscolare diventa predominante sul contenuto musicale, che va invece interiorizzato focalizzando l’attenzione sugli intervalli. Il frammento che vogliamo eseguire, è meglio visualizzarlo su un paio di corde adiacenti, e trasportarlo semplicemente partendo da un tasto diverso sulla stessa corda, privilegiando una visione orizzontale della tastiera.
Fisicamente è più scomodo, occorre andare più piano, ma è un bene: non si può più suonare meccanicamente. La tastiera della chitarra non è una tavolozza su cui dipingere degli anonimi pallini neri, che creano delle forme geometriche da memorizzare, come suggeriscono tanti metodi per chitarra. E’ piuttosto un campo d’azione nel quale, a seconda dell’effetto sonoro che vogliamo produrre, dobbiamo calcolare la distanza tra una nota e l’altra. Per aiutarci in questo compito, dobbiamo dare dei nomi alle note.
L’altro cambiamento è un nuovo modo di vedere l’armonia. Generalmente si incomincia dalla scala maggiore, mostrandone l’armonizzazione. Da un punto di vista teorico è logico, in quanto gli accordi derivano dalla scala. Però, in questo modo, lo studente è indotto a pensare che prima di tutto si debbano imparare le scale, e che poi basti suonare quelle per creare le proprie melodie.
Da un punto di vista pratico invece, è meglio imparare ad eseguire piccoli oggetti melodici e armonici, che poi si arricchiscono gradualmente con altre note. Ad un certo punto si arriva anche alle scale, ovviamente, ma con una comprensione ben diversa di quello che possono offrirci dal punto di vista melodico ed armonico.
Quando ho iniziato a studiare la chitarra moderna (dopo alcuni anni di chitarra classica come puro esecutore), mi sono avvicinato subito al Jazz e l’armonia per me cominciava con gli accordi di quattro note. I miei studi recenti invece partono dalle triadi, che sono un elemento fondamentale del vocabolario armonico e melodico di tutti i musicisti, Jazzisti compresi.
Poi, aggiungendo una nota, arrivo agli accordi di settima, che possono anche essere visti come triadi con un basso sottostante. Anche gli accordi più complessi, che contengono estensioni ed eventuali alterazioni, possono essere visti come sovrapposizioni di triadi.
Se invece aggiungiamo alla triade due note, otteniamo una scala pentatonica, altro oggetto melodico molto utile. Se combiniamo l’accordo di settima con la pentatonica, otteniamo una scala di sei note. Di questa scala quasi nessuno parla, eppure è facile da utilizzare, perché evita una nota che può risultare dissonante in certi contesti (ed infatti, in certi testi, è indicata come avoid note).
Un ulteriore elemento che può aiutare molto è l’utilizzo del canto, anche se non abbiamo grandi doti vocali. Cerco sempre di accompagnare tutti gli esercizi con l’uso della voce e del solfeggio, in modo da arrivare a sentire internamente ogni elemento musicale, anche senza l’uso dello strumento.
Il solfeggio con il do mobile è uno strumento che ho usato negli ultimi anni, utile ad abituare l’orecchio a riconoscere la distanza relativa delle note rispetto ad un centro tonale, concepito come ‘do’. Secondo tale metodo, qualunque melodia, scala, accordo o tonalità viene analizzato e cantato nella tonalità di DO, che costituisce il modello di qualsiasi altra tonalità.
Dopo aver sperimentato a lungo con questo metodo, mi propongo di imparare gradualmente a ragionare alla stessa maniera in qualsiasi tonalità: se il Do può essere mobile, qualunque altra nota può esserlo altrettanto, il che conduce ad una autentica familiarità con qualsiasi tonalità.
C’è poi tutto un altro mondo da esplorare, quello del tempo e del ritmo. Ho iniziato a praticare regolarmente utilizzando il metronomo in modo da affinare il senso del tempo e dello swing.
Mentre scrivo, ho già registrato oltre 300 esercizi, che perlopiù consistono nell’eseguire su un paio di corde adiacenti un elemento armonico o melodico (una triade, un arpeggio di un accordo di settima, una pentatonica ecc), trasportandolo in tutte le tonalità mentre si cantano le note, dapprima con il sistema del do mobile, poi con i nomi c.d. reali delle note. I singoli elementi melodici vengono poi collegati a formare piccole progressioni armoniche o giri armonici di brani di repertorio, che vengono a loro volta trasposti con lo stesso sistema.
Si tratta di esercizi che vanno a costituire una solida preparazione, dal punto di vista armonico e di ear training, per la pratica dell’improvvisazione. Dal punto di vista tecnico, sono il contario del suonare in posizione, in quanto anziché restare fermi in un’area limitata della tastiera, ci si sposta continuamente, praticando movimenti anche ampi in senso orizzontale.
Cosa non è, a chi si rivolge
E’ bene chiarire che ‘Imparare la chitarra Jazz – Take 4’ non è un metodo sintetico, un riassunto di tutti gli elementi tecnici ed armonici necessari alla pratica musicale di un aspirante jazzman.
Al contrario, è una serie apparentemente interminabile di esercizi. Ci sono anche delle spiegazioni di teoria musicale che, seguendo un filo logico, introducono ciò che si propone di fare. E’ proprio l’atto di praticare gli esercizi con pazienza, cercando di arrivare a farli senza errori, a dare i suoi frutti. Lo sto verificando su me stesso.
Può sembrare banale, o addirittura pedante, prendere un singolo elemento armonico e melodico, cantarlo, trasportarlo, permutarlo o rivoltarlo in modi diversi, applicarlo a diverse progressioni armoniche, eccetera. Poi prenderne un altro ed applicare la stessa routine. In realtà, attraverso un simile procedimento, da un lato ci stiamo procurando, uno alla volta, tutti i mattoncini che ci serviranno per le nostre costruzioni musicali; dall’altro stiamo educando il nostro orecchio, che poi ci suggerirà quali note scegliere al momento di improvvisare.
Quindi uno studio sistematico e noioso, che ci pone limiti ed obblighi da rispettare inderogabilmente, ci porterà a provare un inedito senso di libertà e creatività durante la pratica musicale. Può sembrare strano, ma in fondo è logico.
Occorre padroneggiare veramente le cose più semplici e basilari (e non è così scontato come spesso crediamo), prima di passare a studi più avanzati e stimolanti.
Solo per fare un esempio, ci sono vari metodi in commercio ed illustri dimostrazioni che suggeriscono utilizzi creativi ed avanzati delle triadi, o delle scale pentatoniche, maggiori, minori, diminuite, esatonali ecc. Ma come facciamo a trarne profitto se, in realtà, non conosciamo ciascuno di questi elementi in modo approfondito, non sappiamo eseguirli al volo in qualsiasi tonalità su tutta la tastiera, non li sentiamo internamente e non sappiamo riconoscerli nella musica che ascoltiamo, e tuttociò perché continuiamo a suonare ignorando le note e gli intervalli, avendo soltanto memorizzato delle forme sulla tastiera, che ci consentono di orientarci approssimativamente o poco più?
Naturalmente, non è possibile fare tutti questi esercizi prima di cominciare a cimentarsi con qualche brano da suonare alla jam session. Chi inizia deve fare musica da subito, pur con le proprie conoscenze musicali, giocoforza limitate.
Occorre quindi trovare un bilanciamento fra la giusta esigenza di divertirsi ed esercitare una pratica musicale insieme ad altri musicisti, anche prendendo qualche scorciatoia (suonare in posizione, licks ecc), ed uno studio più rigoroso (ed apparentemente ingrato), che andrà perseguito con costanza per svariati anni ma che, nel lungo termine, ci risparmierà la frustrazione di cui parlavo sopra.
Questi esercizi probabilmente non interessano tanto l’aspirante improvvisatore, che ha fretta di imparare quel tanto che basta per cavarsela, quanto piuttosto il chitarrista leggermente in crisi, che ha sperimentato i limiti di un approccio più semplicistico. Sono tanti i chitarristi che si lamentano di non sapersi muovere liberamente sulla tastiera e di sentirsi costretti dalle posizioni. Forse ancor più quelli che hanno dedicato tempo allo studio delle scale (o dei modi, con altra terminologia) e sono però insoddisfatti delle loro improvvisazioni.
Io, comunque, non sono un’insegnante, se non di me stesso. La qualità tecnica dei video è scarsa, la mia voce cantante è brutta e talvolta stonata (sta però migliorando mentre procedo su questa strada).
Non mi offendo se qualcuno trova gli esercizi noiosi, indubbiamente lo sono. Se li trovate facili da eseguire, probabilmente non ne avete bisogno. Se invece vi risultano difficili, dovreste insistere. Potrebbero cambiare il vostro approccio alla tastiera ed insegnarvi a pensare più da musicisti e meno da chitarristi.
Il mio scopo non è di fare tante visualizzazioni su Youtube. Si tratta solo di un esperimento. Forse potrà aiutarmi a conseguire un apprezzabile progresso della mia abilità musicale generale. Se poi può aiutare qualcun altro, tanto meglio.
Chi vivrà vedrà: “Per aspera ad astra“.